Se sapete come, allora saprete anche quando – don Claudio Burgio
L’EDITORIALE di don Claudio Burgio: se sapete come, allora saprete anche quando
In questo tempo più che mai atteso, la parola d’ordine sembra essere “RI-PARTENZA”.
Dopo mesi di reclusione forzata in casa, la Fase 2 dell’emergenza Covid-19 dettata dal Governo ha dato avvio a un periodo di nuova apertura per la ripresa della vita sociale e dell’economia. Anche i nostri ragazzi in Comunità sembrano avere esaurito la pazienza e chiedono insistentemente: “Quando si può uscire?”.
Ho provato a ragionare con loro sul fatto che il vero problema ora non sia tanto il quando, quanto il come ripartire. E’ il come che assume rilevanza decisiva.
Per questo, con loro mi sono soffermato sul prefisso “ri-” del verbo ri-partire. Non per un vezzo di semantica lessicale dovuto ai miei studi classici giovanili, ma proprio per cercare di comprendere come dare avvio a un nuovo percorso di vita e di Comunità.
Ho spiegato ai miei adolescenti irrequieti che il prefisso “ri-“ viene dal latino re- che significa “di nuovo, all’indietro”. In italiano, il prefisso “ri-“ ha, innanzitutto, valore iterativo e indica il ripetersi di un’azione nello stesso senso o in senso contrario.
Nel penale minorile, soprattutto negli Istituti Penitenziari Minorili, si parla spesso, per esempio, di ri-educazione. Ne parla anche la Costituzione all’art. 27. Mi sono sempre chiesto se sia possibile pensare l’educazione di un ragazzo autore di reato come un “tornare indietro, un ripetere da capo”. Sono giunto sempre alla stessa risposta: “No, non è possibile”.
Una persona non può tornare mai indietro, non può essere ri-fatta, ri-creata. La storia va solo avanti, guarda avanti. Un ragazzo può fare tesoro delle proprie esperienze pregresse, ma non può annullare magicamente i vissuti, soprattutto quelli più dolorosi. Tante volte ho avuto modo di ascoltare le risposte dei miei ragazzi alla solita domanda: “Se tornassi indietro, rifaresti le stesse cose?”. Il prefisso “ri-“ in educazione non esiste, almeno nel suo valore iterativo di ripetizione.
Allo stesso modo mi pare di poter interpretare questa “ri-partenza” ai tempi del Coronavirus.
Non si può più tornare indietro: i morti sono morti (e non sono pochi!) e le ferite che ci porteremo dentro rimarranno forse per sempre.
Così, ho provato a far riflettere i miei ragazzi: è possibile ri-partire solo se rintracciamo insieme l’altro valore del prefisso “ri-“, quello intensivo.
Non si riparte affatto se tutto è come prima, se ci apprestiamo a vivere la ripetizione dell’identico. Si ri-parte davvero se il nuovo percorso ha il sapore dell’intensità, della consapevolezza, della durata nel tempo. Ho ricordato ai miei adolescenti spesso destrutturati dal punto di vista linguistico (ma pur sempre molto efficaci nella comunicazione) che i prefissi intensivi, nella lingua italiana, hanno questo valore rafforzativo e conferiscono al verbo al quale sono uniti una maggiore intensità e forza espressiva.
Per questo ho detto a loro: “Siete pronti a ri-partire?”, “Siete decisi a iniziare il vostro cammino di cambiamento con nuova forza e intensità?”.
E ho aggiunto: “Se sapete come, allora saprete anche quando”.
A cura di don Claudio Burgio