L’Arcivescovo sui disturbi alimentari: «Preoccupa la sofferenza silenziosa di tanti giovani»

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L’Arcivescovo sui disturbi alimentari: «Preoccupa la sofferenza silenziosa di tanti giovani»

Nella Giornata nazionale dedicata a questa emergenza, in un incontro al Collegio San Carlo presentato un percorso formativo, elaborato da Fom e Auxologico, rivolto a educatori di oratori, società sportive e associazioni

di Annamaria BRACCINI

15 Marzo 2024

 

«Un educatore ben formato e avvertito può essere il salvatore di qualcuno che si avvicina al baratro. Il mio incoraggiamento è per questi strumenti, per contesti come l’oratorio, i collegi, le strutture scolastiche che la Chiesa ha creato fin dal secolo scorso, perché desidera prendersi cura della persona in ogni sua dimensione, volendo bene». A dirlo è l’Arcivescovo che, presso il Teatro del Collegio San Carlo incontra gli studenti nella Giornata nazionale dei Disturbi del comportamento alimentare (DCA), contrassegnata dai tanti fiocchi lilla che molti dei presenti indossano. Un’iniziativa promossa dall’Arcidiocesi attraverso la Fondazione Oratori Milanesi in collaborazione con l’Istituto Auxologico Irccs e lo stesso Collegio San Carlo, per presentare un progetto condiviso rivolto alla prevenzione di patologie alimentari, che prevede un percorso formativo a disposizione di educatori, società sportive e associazioni.

«Per i nostri adolescenti, talvolta, il futuro è una parola amara – dice nel suo saluto introduttivo il rettore del San Carlo don Alberto Torriani -. Nel nostro percorso educativo sui 5 sensi stiamo approfondendo il gusto e spesso non solo affrontiamo questi temi in classe, ma ascoltiamo le confidenze delle famiglie e degli insegnanti».

Accanto a lui il direttore della Fom, don Stefano Guidi: «Qui siamo tra amici e non abbiamo scelto a caso il San Carlo. La nostra proposta porta come titolo una domanda, “Come ti nutri?”, perché gli oratori della Diocesi vogliono avere un’esperienza sempre più documentata e seria relativamente al vissuto dei nostri ragazzi. Vogliamo vedere, capire, riconoscere: abbiamo cercato, allora, qualcuno che potesse aiutarci e l’abbiamo trovato nell’Auxologico. Il percorso nasce da un lavoro condiviso, da un confronto, dall’impegno degli oratori nel mettersi a servizio di quell’alleanza educativa che ci richiamano spesso papa Francesco e l’Arcivescovo.

Il percorso

Il percorso formativo (vedi qui), disponibile sulla piattaforma online della Fom, si propone di aiutare gli educatori a riconoscere i sintomi che conducono ai disturbi del comportamento alimentare, anche quelli meno noti come l’Arfid (Avoidant/Restrictive Food Intake Disorder), l’ortoressia o la vigoressia. Il percorso si concentra sull’importanza dell’educazione alimentare, offrendo uno sguardo di carattere culturale e sociale legato alle scelte del cibo e competenze per definire il ruolo dell’educatore e della comunità nel gestire e prevenire il disagio, intervenendo attraverso una comunicazione efficace con i minori. Volendo favorire, al contempo, la collaborazione tra famiglia, scuola, sanità, oratorio, sport. Insomma, un «progetto ambizioso», all’altezza della sfida di oggi. Quella di fronte alla quale l’Arcivescovo si dice «molto preoccupato».

 

Il corpo come una prigione?

«Mi guardo allo specchio e non mi piaccio, il mio corpo non mi pare all’altezza o degno di suscitare attenzione», dice in apertura del suo intervento, dando voce a ciò che tanti giovani pensano di loro stessi. «Il corpo viene visto come un ostacolo alla libertà e alla felicità. In un’idea di questo tipo sta, forse, una delle cause dei disturbi alimentari. Vi è tutta una tradizione che considera il corpo una prigione, mentre il cristianesimo vede nel corpo, la chiamata a essere dimora della gloria di Dio: per questo, a partire dalla testimonianza di Gesù, la Chiesa si prende cura della persona».

Il richiamo è al Vangelo di Marco con la pagina della guarigione del lebbroso: «Nel mondo antico, ma anche oggi, i malati di lebbra sono segregati, ma Gesù tocca il lebbroso. La Chiesa continua questa missione del Signore e tocca sempre il malato, facendosene carico».

Oratorio, luogo di relazione intergenerazionale

L’oratorio – come altre iniziative di carattere sportivo, formativo e culturale rivolte alle fasce giovanili – si cura delle persone prevenendo il rischio di considerare il corpo come un ostacolo. L’oratorio non è, evidentemente, un luogo di terapia, ma propone un messaggio di accoglienza che dice che, al suo interno, si è amati cosi come si è, anche se non perfetti o attraenti come i modelli dei social. All’oratorio, ragazzi siete amati perché siete voi», scandisce rivolgendosi direttamente ai giovani presenti.

Fondamentale, poi, anche il ruolo dell’oratorio come «luogo dove si vive una relazione generazionale che, talvolta, amplia anche le possibilità della famiglia che, nell’età dell’adolescenza di figli, spesso vive di conflitti. L’oratorio propone il tema di vita comunitaria come forma in cui si stabiliscono relazioni nelle quali sentirsi all’altezza sulla via per diventare adulti. La vita comunitaria risponde a un’esigenza di felicità e indica la strada di un diventare adulti che si scopre capace di dare gioia e di servire nell’aiuto portato agli altri».

 

Il contributo dell’Auxologico

«Da quasi 70 anni ci occupiamo di ricerca e di cura – sottolinea Mario Colombo, presidente dell’Istituto Auxologico, fondato nel 1958 da monsignor Giuseppe Bicchierai -. Oggi siamo riconosciuti tra le strutture più all’avanguardia in questo settore, ma questo è per noi un giorno particolarmente importante che ci permette di accendere i riflettori su una patologia dell’età moderna che colpisce tanti giovani e famiglie».

Un fenomeno dalle proporzioni devastanti: 3 milioni le persone che soffrono di questi disturbi, con una prevalenza dei giovani e di ragazze. «Ricordiamo che ogni anno 4000 giovani muoiono di DCA, la seconda causa di morte, per questa fascia, dopo gli incidenti stradali. La cura clinica e sanitaria è solo una faccia del problema, perché la tempestività nell’individuare i sintomi della malattia è fondamentale. Abbiamo, allora, cercato di dare uno strumento, mettendo a disposizione le competenze dei nostri ricercatori perché chi è accanto ai ragazzi possa cogliere eventuali sintomi. In Italia sono 135 le strutture riconosciute prevalentemente nel nord Italia, assolutamente insufficienti di fronte alla dimensione di una delle patologie più subdole della psichiatria. Aumentare le risorse significa aiutare le famiglie che, lasciate sole, non possono affrontare queste problematiche».

L’intervento dell’assessore Bertolaso

Concorde l’assessore al Welfare di Regione Lombardia, Guido Bertolaso: «Qui parlo più da medico che da assessore. La domanda che dobbiamo porci è quale sia oggi il ruolo del medico, che è il sacerdote laico della nostra società. In Regione io cerco di ripristinare questo concetto, coniugando umanità e nuove tecnologie per persone che chiedono di essere accompagnate. Un medico non può essere un mercenario, specie di fronte a malattie come i disordini alimentari, per cui non abbiamo un farmaco salvavita: dobbiamo costruirlo giorno per giorno e questi strumenti servono, perché la malattia è molto pericolosa e silenziosa e pare che non si riesca a intercettarla, tanto che la situazione sta peggiorando. I soldi ce li abbiamo (Regione Lombardia, solo per quest’anno, stanzia 6 milioni di euro), ma non riusciamo ad avere le risposte che vorremmo, sapendo che nei prossimi 10-20 anni gli ospedali diventeranno centri che dovranno occuparsi soprattutto di salute mentale».

Il dibattito

Poi il dibattito con esperti e testimoni, come la giovanissima Viola Sella, ginnasta di punta della nazionale italiana di ritmica che sarà tra le protagoniste del Circuito della World Cup 2024 e Martina Colombari, attrice e conduttrice televisiva, che dice: «Se da un lato la società capitalistica in cui viviamo concorre alla proliferazione di sintomi alimentari, cosiddetti alla moda, dall’altro non bisogna dimenticare la dimensione soggettiva di ogni sofferenza. I giovani hanno bisogno di essere ascoltati e visti nella loro singolarità che nessuna immagine ideale può rappresentare. Un disturbo alimentare nella sua forma meno grave dal punto di vista strutturale è sempre un appello paradossale all’altro: “Se sparisco mi vedi? Puoi perdermi?”. Si tratta in questi casi di una domanda, certamente problematica, d’amore. Il consiglio che possiamo dare ai giovani è di ascoltarsi, di parlarsi, di parlare delle loro difficoltà. E di fare un buon uso dei social media. Farne un buon uso significa saper giocare con il virtuale senza confonderne il piano con la realtà, fatta di figure umane la cui imperfezione sottolinea al tempo stesso l’unicità di ciascuno».

«Se, come dicono le statistiche, un ragazzo su due ha idee suicidarie, il sistema Paese non potrà sostenersi», osserva lo psicologo Gianluca Castelnuovo, cui si aggiunge lo psichiatra Leonardo Mendolicchio: «La situazione dei DCA in Italia è in stallo, nel senso che ormai i servizi presenti sul territorio hanno messo in campo tutte le risorse possibili su una popolazione che aumenta sempre di più dal punto di vista degli indici epidemiologici. Questo ha già prodotto una saturazione del sistema che fa fatica a dare risposte rapide e capillari sul territorio. In un contesto come questo la prevenzione è fondamentale».

«Non vogliamo cercare colpevoli, già i nostri pazienti sono i nemici di loro stessi, ma soluzioni in un’alleanza terapeutica», chiosa Leila Danesi, endocrinologa da decenni impegnata nelle équipes dell’Auxologico nell’ambito dei DCA.